Critica & Stralci Critici

CRITICA: GIANNI AMBROGIO, DISINCANTATO INTERPRETE DEL DISAGIO ESISTENZIALE di Giorgio Di Genova - In occasione dell'inaugurazione della Fondazione Gianni Ambrogio

In un periodo di crisi come l'attuale, che penalizza sempre più la cultura, inaugurare una Fondazione è un atto insieme di coraggio e speranza. Coraggio di andare avanti nonostante tutti i segnali avversi, speranza che nella società del futuro la cultura torni ad essere asse centrale. L'Italia nei secoli passati è stata un faro internazionale per la sua arte e la sua cultura. Il grande patrimonio del passato costituisce la sua inestimabile ricchezza. Il presente culturale ed artistico italiano non è da meno del passato, anche se a causa di certe internazionali strategie di mercato appare il contrario. La ricchezza del nostro paese è frutto di una complessa dialettica produttiva in ogni settore degli studi e della creatività, nonché della ricerca artistica, dagli inizi del '900 (si pensi al Futurismo, avanguardia totale, che ha fatto scuola nel mondo, come è stato documentato due anni fa, anche se non esaustivamente, nell'ambito delle esposizioni e pubblicazioni per il Centenario). Per eredità storica la cultura italiana mantiene tuttora la sua specificità regionalistica, che ha connotato anche il Futurismo e che costituisce tutt'altro che una remora alla creatività, sempre ribollente sia nelle città che nei piccoli centri (e una riprova ne sono le mostre regionali del Padiglione Italia della Biennale di Venezia, disseminate nell'anno del 150° dell'Unità d'Italia in tutto il territorio nazionale).
Se nelle città, alcune delle quali hanno dato vita a movimenti poi divenuti nazionali e in qualche caso internazionali c'è una maggiore concentrazione di operatori, nei piccoli centri non mancano personalità rilevanti di rilevanza artistica. Gianni Ambrogio, che tra l'altro alla 54^ Biennale espone nel Padiglione Italia Regione Veneto, ne è un esempio, sia per la sua versatilità tecnica ed espressiva sia per la grande apertura linguistica, ambedue aspetti che non solo lo rendono un caso particolare nell'attuale panorama artistico, ma si riverberano negli intenti programmatici della Fondazione a lui intestata, la quale, oltre alla esposizione permanente della donazione delle sue opere, prevede organizzazione di eventi relativi alle più diverse discipline artistiche e promozione della cultura nelle sue varie accezioni e tematiche.
Ho conosciuto Ambrogio nel 1987 in occasione della mostra I Cinque ad Asolo, quando la sua ricerca pittorica, che sin dagli anni Settanta aveva posto particolare attenzione agli effetti di luci sui corpi, aveva già maturato le prime lievitazioni del suo visionarismo, giocato su ritagli, iterazioni e moltiplicazioni d'immagine, proliferazioni e accumulazioni di elementi, giustapposizioni cromatiche, nonché trasparenze e giochi spaziali, tutti aspetti del suo lessico pittorico, in cui egli mescolava le carte del reale e dell'immaginario, talvolta violentando la struttura della visione fino al grottesco, quando non giungeva a farla come evaporare in esiti para-aniconici, che coniugavano soluzioni espressioniste ed informali, quest'ultime ora segnicamente ribollenti, ora liricamente sfumate, come fossero sospiri pittorici.
Negli oltre cinquant'anni di lavoro Gianni ha via via messo a punto un suo originalissimo linguaggio, le cui radici affondano nella produzione degli esordi, in cui già il suo, in un caso grondante, "spirto" espressionista recuperava istintivamente la lezione della scomposizione cubista (Nudo, 1956), per poi passare, all'alba degli anni Sessanta, anche attraverso l'allora dominante tempesta dell'Informel (Billy, Il cane, Composizione 2, Composizione 12, 1960), esperienza che lo condusse a preannunci di soluzioni in seguito ricorrenti: e mi riferisco alla proliferazione del periodo bretone (Rocce in Bretagna, Barche in Bretagna, Paesaggio bretone, 1963; Paesaggio bretone, 1964) ed all'iterazione nella fattispecie di arti inferiori, com'è in Vietnam del 1967, iterazioni sfociate in coagulazioni paesistiche metainformali (Casa tra gli alberi, Bosco psichedelico, 1967) ed in scene con prevalenti tagli a bande verticali del tessuto pittorico (con sovrapposizioni "fogli" di grafica nel caso di Lotta di galli, 1968), in seguito riemerse, forse per suggestioni optical. Questi ultimi dipinti di Ambrogio sono propedeutici al discorso allineato alla cosiddetta Nuova Figurazione, appunto nata sulle ceneri dell'Informale, come è un gruppo di lavori del 1969 (Donna che si lava, Figura, L'amazzone moderna, Diva in crisi).
Per tale svolta sembrerebbe che le oscillazioni tra l'iconico e l'aniconico siano ormai superate. Infatti nel decennio successivo l'artista realizza una cospicua serie di nudi, che si dipanano da Nudo sulla spiaggia del 1971, Figura del 1972, Il fiore tra i rottami, Figura sui rottami, Luisella del 1973, a L'abbaglio, Donna e insetto, Donna e farfalle del 1974, anno a cui appartiene quella vera e propria iperbole della carnalità femminile, priva di testa e di parte inferiore delle gambe, che è Nudo, che ha per contraltare lo scorcio coricato di Nudo del 1975. In questa serie compare il topos dell'insetto, nient'affatto secondario per quanto attiene alla Weltanschauung ambrosiana, che in seguito tornerà come palese contrapposto alla carnalità, quasi a voler significare che l'insetto è rimasto nei tempi sempre uguale, mentre la carnalità è mutata ed è tuttora mutevole.
Ormai le basi lessicali della propria pittura sono state gettate. Ed è su esse che il nostro pittore procede negli anni successivi, ricorrendo alla iterazione di bambini (Paternità, 1979; Maternità, 1980), di forme geologiche, quasi fossero nature morte pietrificate (Rocce, Rocce sul mare, 1977; Rocce, 1980), di foglie (Foglie, Fiori, 1980) e di galli (Galli in combattimento, Gallo in movimento, 1980), alle trasparenze scandite in bande verticali (Colomba in volo, Bimbi e cane, Lotta di galli, Corsa tra gli alberi, 1980), nonché alle fluidità pittoriche tra informali ed espressioniste (Lotta di galli, 1980), risolte con una sicurezza nel pennelleggiare cha va dagli effetti centrifughi del coevo Lotta di galli a quelli frastagliati del citato Fuga tra gli alberi (1980) e dalle movimentazioni pittografiche di Ritratto di Amelia alle vibratili fermentazioni della testa di profilo della citata Maternità, tutti lavori che stanno a confermare che il 1980 è stato un anno di volta del discorso di Ambrogio.
Allorché lo conobbi, i registri in cui Gianni operava erano più o meno gli stessi, come stanno a testimoniare Ragazza in fiore del 1985, Ritratto di donna domani del 1986 e Cavallo sperimentale del 1987, anno del nostro incontro ad Asolo, dove tra I Cinque senza dubbio spiccava per la varietà di inflessioni e soluzioni, nonché per la complessità del suo discorso pittorico, sostanzialmente di denuncia dei confronti di un mondo disumanato, che inducevano Giuseppe Mazzariol a definirlo "poeta ironico e desolato che denuncia le rovine delle dolci contrade della Marca" e Paolo Rizzi a individuare i suoi soggetti come "'mostri' così familiari" nel volume che supportava l'esposizione. I "mostri" erano partoriti da uno stretto connubio di visionarismo ed espressionismo. Essi erano la configurazione del disagio di Ambrogio, erano una specie di "urli" di denuncia nei confronti di un mondo sempre più alienante, in cui l'allontanamento dalla natura ed il dirompente dominio della tecnologia stravolgeva i soma, i volti, l'habitat umano, tanto da creare nuovi Frankenstein, per ritrarre i quali Ambrogio ricorreva a pastiches antropomorfi, tipo il profilo Donna alla moda domani, che non poteva più essere simile alle teste del manierista Arcimboldi e neanche a quella famosa del dadaista Raoul Hausmann, anche se a quest'ultima, senza dubbio di più studiata ingegneria tecnologica, il profilo, al di là delle viti, dei bulloni e della chiavetta, è più prossimo, almeno per quel circolare occhio pieno di numeri.
Ambrogio non è un neorealista e pertanto non ha affidato la sua protesta a scene di lotte sociali e di stragi, quali occupazione delle terre, scioperi, cortei contro la guerra, l'eccidio di Portela delle Ginestre, o a rappresentazioni del decadimento della società borghese, come alcuni pittori della sua generazione hanno fatto. Egli s'è affidato all'ironia, deformando le sembianze ora dando ad un volto le sembianze di un rapace (Il generale), o robotizzandole con una maschera (Per un futuro carnevale ogni scherzo vale. Ancor di più, 1981), o dilacerando i corpi e rimescolandone i lacerti (Le due amiche, 1985), fino a compiere innesti di elementi vegetali su nudi femminili (Figura, 1990), talvolta fino a capovolgere semanticamente aspetti della vegetazione, spingendo in uno strepitoso ciclo pittorico del 1990 la sua ottica metamorfica ad allusioni genitali, ora maschili (Il grande fiore notturno, Grande fiore in espansione), ora femminili (Fiore accogliente, Fiore), in certi casi ambedue accostati (Composizione), ma più spesso congiunti in copule vegetali (Approccio freddo, Fecondazione), con anche varianti orgasmatiche (Capitello in esplosione). E sono tutte rappresentazioni collaterali a scene di aggrovigliamenti corporali dei suoi tragicomici personaggi (Amplesso, Rapporto di coppia, 1989; Connubio, Croce amorosa, 1990), scene nate dallo scioglimento di quell'itifallico Totem androgino (1989), in cui per recupero di un topos mitologico il femminile ed il maschile sono ancora congiunti per le terga. Attraverso l'ironia, che talvolta si trasforma in sarcasmo, Ambrogio svela il lato oscuro e comico dell'esistenza, anche della propria. Da qui nasce l'autoironia, dato che, come vedremo, anch'egli alla stregua di tutti gli artisti non fa che restituire con la sua opera un autoritratto psicologico-simbolico. Ma è proprio l'ironia che distingue il nostro poliedrico artista da Francis Bacon, radicale disfattista delle sembianze umane, o dalla bella quanto sfortunata Alina Szapocznikow, scultrice polacca che ha fatto a pezzi il corpo umano e le sue viscere, giungendo a sistemare a mo' di fiori in cima a steli bocche.
Più volte Gianni ha dichiarato che i suoi lavori sono autoritratti. Cioè sono, in altre parole, son double. Egli come tutti gli artisti, insomma, si rispecchia nell'altro da sé dell'opera. È un processo creativo che trent'anni fa indagai nell'ambito di certi artisti in cui l'aspetto del rispecchiamento e della ri-flessione era a tal punto manifesto da portarmi a inquadrarlo come Narciso Arte.
In questa mia indagine distinguevo il Narciso primario (narcisismo) dal Narciso secondario (arte, appunto), precisando che l'opera d'arte è sempre uno specchio in cui l'io ricompatta il fuori ed il dentro in ciascuna opera, che viene ripetuta in quanto nessuno può riuscire in una soltanto a restituire l'autoritratto psicologico-simbolico, come a Narciso non riesce di abbracciare la propria immagine riflessa, che anzi si frantuma. Per cui ogni opera è sempre un tentativo fallito e pertanto si connota come una tessera dell'in progress "mosaico" autorappresentativo.
Gianni Ambrogio è ben consapevole di tali processi autorappresentativi, quando parla del "malessere nero" che egli esprime nelle sue opere, di cui una parte ora sono patrimonio permanente della sua arte, ovvero del suo essere, in tutte le corde espressive, sia tecniche che linguistiche. Che comprendono pittura, tecnica mista, disegno, incisione, scultura ed assemblage. Questo che ebbi a definire "un 'selvaggio' raffinato", la cui "pittura ha un cuore antico", è dotato di rara padronanza linguistica, espressiva, sa rendere semplice la più articolata complessità.
Tutti i personaggi di Ambrogio, che appaiono come disfatti ridicoli e talora tragici "poveri cristi", sono in realtà esseri di pregnante umanità dolente. Tuttavia il loro sostrato è sempre un lirismo che emana "pessimismo fatale", ma permeato di una sottintesa speranza: quella che mettendo in evidenza l'assurdo dell'esistenza odierna possa servire a migliorare il mondo.
Sembrerebbe che con il passar degli anni il nostro artista abbia compreso che l'arte incide poco sulla realtà sociopolitica. Tuttavia, non essendo possibile azzerare il proprio coinvolgimento alle situazioni del mondo circostante, la saggezza conquistata con l'età gli ha dettato una certa distanza. Pertanto la sua arte è divenuta meno urlata. La sua pittura s'è fatta più distaccata, ma di converso ha sentito l'esigenza di concretezza maggiore. Concretezza affidata alla tattilità delle opere plastiche, quasi a risarcimento della minor vis, affidato appunto ad un recupero all'interno degli specifici espressivi. È così che l'opzione plastica, in lui sempre insita, come stanno a testimoniare opere plastiche, quali il polimaterico L'atleta (1978) e il bronzo e ferro Dove corri (1988), ma in effetti sopraffatta dal bellicoso "spirto" pittorico, nell'ultimo decennio, quasi a voler contraddire una mia convinzione, è riaffiorata con la classica testa su cui s'erge un microscopico motociclista (Senza titolo, 2008) ed in altri lavori tra cui spiccano il coevo leucofilo polimaterico di palesi sostrati neodada Alla ricerca del fossile ed il più significativo bianco altorilievo fisiognomico Condominio (2000), che traduce plasticamente la tecnica mista su pannelli Polittico del 1981, antesignano della più estesa moltitudine di Babilonia del 2000. Tali opere offrono una galleria di volti della popolazione che abita l'immaginazione di Ambrogio, il quale ha saputo attraversare proficuamente il fantastico e l'aniconico e gli intermedi connubi del ciclo del 2006-07 Ingegneria genetica, tutta giocata da un lato su apparizioni di dettagli all'interno di spazi attraversati da verticali pennellate, trasparenti ombre e colori occhieggianti tra stesure in nero memori dell'Informale, e dall'altro lato da reminiscenze figurali tra sparizione e riemersione decostruite fino alla completa dissolvenza.
È possibile separare la pittura di Ambrogio dalla sua vita. Egli stesso ha affermato: "i miei quadri sono la mia vita. Sono ritratti di me. Sono autoritratti. A volte scomodi, osceni, ironici, trasgressivi. Ma sempre liricamente. Sempre poeticamente. Forse. L'opera creata bene o male è sempre un prelievo istologico che fai a te stesso. E poi aspetti con ansia il referto".
Ebbene, ecco il referto: Gianni Ambrogio è senza alcun dubbio un valido artista dei nostri tempi, dei quali è riuscito a tramandare a futura memoria il disagio e le problematiche esistenziali.

Stralci critici su Gianni Ambrogio

Hanno scritto su Gianni Ambrogio M. De Micheli (1960); B. Morucchio (1964); G. Comisso (1967); G. Munari (1972); A. Zanzotto (1981); F. Solmi (1981); L. Bortolatto (1982); P. Ruffilli (1990; M. Donà (2009); M. Beraldo (2009);

M. De Micheli (1960)
...Questo giovane cerca di appropriarsi di alcune scoperte dell'informale per rinnovare i propri modi espressivi. Il risultato è di natura espressionistica. Dove l'immagine è più vigorosa ed evidente anche il quadro appare più denso e resistente. Ambrogio è un pittore che ama l'ascensione, il fervore, l'abbandono all'ispirazione...

B. Morucchio (1964)
...E nell'area tormentata e prestigiosa della giovane pittura italiana esempi in tale senso. Ecco quello di Gianni Ambrogio che consola con la sua presenza di pittore il vuoto creativo dell'attuale scuola trevigiana, attardata in un naturalismo d'epigoni o in anonimi ecclettismi edonistici. Sprovvisto per sua fortuna della naturale melodia di vischioso idillio agreste, forse perché ancora prepotente in lui l'origine calabra, fin dal suo inizio la superficie del quadro era luogo di una lotta. Vi confluivano, infatti, le sue inquietudini. Era l'insoddisfazione che si accendeva appena terminata la gara con le cose. La sua abile forza nell'afferrarle per quello che di esse si evidenziava in corposa plasticità, faceva scattare qualcosa che aveva intravvisto in questo raffronto col mondo e che gli sembrava di non aver fissato stabilmente. Qualcosa che era fuggito e che la mimesi, allora usata, non gli aveva permesso di individuare. E l'insistere poi a scardinare l'apparenza, col mezzo dell'espressionismo...

G. Comisso (1967)
Caro Gianni, sento proprio il bisogno di scriverti per dirti le mie congratulazioni per il passo da gigante che hai fatto. Non sei più il principiante ispirato, sei veramente un maestro degno ormai di una scuola e di una linea nuova in arte. vedo con piacere che il tuo valore è stato anche riconosciuto a Roma. Mi auguro che da qui tu possa andare all'estero e il tuo nome sia celebrato. Nei tuoi quadri vi è il segno di una potenza indistruttibile. Ti abbraccio, tuo, Giovanni Comisso.

G. Munari (1972)
...L'immagine di Ambrogio risulta interiorizzata ad alto grado ed è fino all'ultimo patita. Che non è mai casuale, mai legata a uno schema di maniera. Che per contro si consolida, con la fatalità di un cristallo che si aggrega, seguendo l'iter di una vicenda a lui esclusivamente riferita: necessaria e irripetibile, quale dev'essere appunto, la proiezione di una "storia". Una conquista si diceva: ottenuta deponendo pietra su pietra tanto che, rivedendo retrospettivamente la vicenda di Ambrogio, palese è lo svariare dei suoi interessi culturali e delle sue stesse sperimentazioni operative - dalla trascrizione emozionale della realtà fino al recupero figurale sulla linea della "Pop" - ma ugualmente palese resta, passo a passo, la vocazione costante verso un'immagine destinata a caratterizzarsi nella cadenza di un linguaggio autonomo...

A. Zanzotto (1981)
...L'origine dei temi sociali, oppure la sfilata delle mode, il consumo stesso delle forme tra Pop, "nuove figurazioni" di vario genere, ritorni di vampate impressionistiche (mentre incidono sanguignamente in opposte direzioni il condizionamento della macchina e quello della biologia) solo elementi che si succedono e convivono, tra ironia sarcasmo e partecipazione, entro le operazioni di Ambrogio. Se ne ha un fluire di "visioni" che pur sono enormemente dense e concrete: in esse astratto e "reale" si allacciano per poi divaricare, mentre le allucinazioni dei vari momenti di storia-moda lasciano una loro traccia iconica ora imperiosa ora minacciante...

F. Solmi (1981)
...Lo fece procedendo per contaminazioni successive e non fa meraviglia se non giunse mai a fissarsi alla presa d'atto di fronte all'immanenza delle cose e alla loro necrosi oggettualistica. Anche le opere che più si ricollegano alla stagione europea della "Pop" rivelano infatti una tensione non placata, una inquietudine che lo corrode, un insinuarsi di veleni negli ordigni spietati del linguaggio. L'artista dà la sua personale risposta senza sottrarvisi con espedienti concettuali o attraverso la sovrapposizione di schemi irrigiditi, al dilemma che nasceva dall'attrito fra l'oggettualità e la memoria delle cose di natura. A questo punto Ambrogio aveva fatto la sua scelta di solitario eremita di massa, alle prese con oggetti biologici nei quali continuamente scopriva residui di umanità assediata... Gianni Ambrogio è fra questi "sensitivi" della pittura, assediati naturalmente dal dramma e tesi fra la volontà di abbandonarsi ai gorghi delle pulsioni emotive e il desiderio di mettervi qualche ordine, innestando segnali laddove potrebbe maggiormente aggrovigliarsi l'intrico dei segni. Voglio dire che Ambrogio non poteva sottrarsi al fascino dell'informale, e non vi si è sottratto in quanto l'urgere e il proliferare della materia gli consentiva un adeguamento immediato dell'immagine al disordine tumultuoso dei sentimenti e dei sensi. Ma la sua natura di confidente indagatore gli imponeva anche di ricercare, fra i rigurgiti dell'organico, qualche simulacro del rituale iconografico, qualche emergenza della "verità" dell'uomo o di una sua dispersa memoria...

L. Bortolatto (1982)
...Nel dispiegamento simultaneo della stessa immagine sulla tela, nella ripetitività, nella riproposta tecnica attraverso l'iperbole ionica si raggiunge la perfetta matematica della situazione e del gesto, in cui il massimo di chiarezza si esprime nel minimo tempo. L'azione si sviluppa in modo implacabile fino all'autodistruzione. Avanza ineluttabile verso una sorta di catarsi elementare della catastrofe. In questa fuga verso il nichilismo o il suicidio autentico, in questo grido radicalmente distruttivo, rimane un'ambiguità strutturale che non esclude del tutto una possibile forma di salvezza "orfica"...

P. Ruffilli (1990)
...Questa periodizzazione, tuttavia, non riesce a dar conto dell'esperienza pittorica di Ambrogio; neppure ipotizzando fasi intermedie di trapasso e di passaggio, addirittura, non è verificabile cronologicamente, per gruppi netti e distinti di quadri; perché, per uno stesso anno, e spesso per uno stesso quadro, valgono considerazioni e parametri diversi, punti di riferimento molteplici, chiavi di lettura e di interpretazione intersecantisi. E tutto ciò accade, perché ad interagire, nella stessa vocazione pittorica, sono più anime. Le diverse anime, appunto, di Gianni Ambrogio. Guardiamo alla vicenda umana di Ambrogio, al suo spaccato biologico essenziale. Pur nato a Treviso egli è (e si sente) per origini e per sangue, un "meridionale" trapiantato al nord...

M. Donà (2009)
...No, nel gesto di Ambrogio risuona piuttosto il vero e proprio ritmo dell'origine; e quindi l'eco della sua perfetta infondatezza. Gli sguardi stupiti della sua umanità lo dicono con la massima evidenza. Perciò ci ri-guardano e ci attraggono con tanta forza; perché avvertiamo in essi il medesimo stupore che risuona (per quanto lontano e poco avvertito) in ogni esperienza che non sia stata completamente fagocitata della potenza barbarica dell'utilitas. Per questo le opere di Ambrogio manifestano la più radicale indifferenza nei confronti dello "stile"; e non inseguono il mito della "forma", giocando tutte le proprie carte al solo fine di una possibile collocazione nell'universo del "canone". Insomma, l'artista naturalizzato trevigiano ci costringe a un'inedita topologia delle forme artistiche; e ci invita a prestare attenzione al "ritmo" - che la sintassi della propria pennellata istituisce sulla superficie accogliente della tela. Ed esige dal nostro sguardo un'altra e difficile disposizione! La stessa che potrebbe farci riconoscere inedite consonanze nella ritmica del gesto picassiano. Che potrebbero cioè mostrarcelo perfettamente sintonizzato con il movimento della figuratività giottesca (allo stesso modo in cui potremmo scoprire la sotterranea affinità che lega invece le dinamiche delle campiture raffaellesche alla rotonda gestualità delle figure matissiane). Ambrogio, dunque, cerca un "ritmo"; e lo trova ogni volta rompendo il confine fra natura e artificio; ma anche ricordando una vibrazione e un battito che nessun processo meccanico potrà mai restituire...

M. Beraldo (2009)
...Gianni Ambrogio si sofferma ancora una volta sul tema dell'uomo, ma questa volta la narrazione acquisisce maggiore leggibilità. Lo spazio dello sfondo viene riordinato attraverso campiture di colore ampie e omogenee, seguendo un processo chiarificatore d'ispirazione pop. I soggetti raffigurati sono quasi sempre quelli di corpulenti borghesi affioranti dalla superficie del quadro con tratti fluidi e sicuri e viene meno l'enigma visivo, il carattere ossessivo di certi temi, l'inquietudine che arrovella e irrompe in ogni forma. Conservano questi uomini i tratti distintivi di una fisionomia che potremmo ormai dire ambrogiana, seppure più pacata, meno scomposta e tormentata. La "potenza indistruttibile" del segno (come ebbe a scrivere Giovanni Comisso, tra i primi a pronunciarsi a favore dell'artista trevigiano), la rapidità d'esecuzione e al contempo la concezione unitaria e armonica di queste opere, corrispondono alle interiori motivazioni dell'artista, a quel saldo equilibrio morale che alberga nel suo cuore...